CineModapp Home » Intrattenimento » Cinema e TV » CineModapp » La Decima Vittima: quando la Moda dell’Op Art travolge il Cinema La Decima Vittima: quando la Moda dell’Op Art travolge il Cinema Da Veronica Valdambrini Pubblicato 30 Gennaio 2020 7 min lettura Commenti disabilitati su La Decima Vittima: quando la Moda dell’Op Art travolge il Cinema 1 903 Condividi su Facebook Condividi su Twitter Condividi su Reddit Condividi su Pinterest Condividi su Linkedin Condividi su Tumblr Le strade del cinema e della moda si sono spesso intrecciate creando dei fenomeni che hanno influenzato il costume di intere generazioni Il cinema è da sempre ricordato come una grande fabbrica di sogni e desideri, produttrice inarrestabile di esperienze uniche e infinite realtà irraggiungibili. La moda, dal canto suo, non è da meno. Il cinema ci propone modelli di vita, la moda ci induce ad assumere abbigliamenti e atteggiamenti, creando così look rimasti iconici. Per quanti anni, possano essere passati, non c’é donna che non abbia nel suo armadio un tubino nero o che non ami dare un tocco di classe al suo look con un delicato foulard. Erano gli anni Sessanta e Settanta e Roma era al centro del mondo. Era la città dove presente e passato si univano creando realtà ed illusioni e che più di altre riuscì a diffondere il linguaggio delle ricerche artistiche nell’abbigliamento e nel design. Dando così vita alla moda cosiddetta cinetica. Gli anni in cui il cinema italiano aveva ancora la capacità di far sognare e rendere il design, la moda e l’arte moderna familiare e riconoscibile in tutto il mondo. La Pop Art divenne il marchio di qualità dell’arte italiana e della sperimentazione. Il Pop si trasformò progressivamente da corrente d’avanguardia a nuova estetica di massa protagonista del tempo libero. Il cinema, naturalmente, non poté fare a meno di non assorbirlo. Colori brillanti e pattern geometrici, lampade, superfici trasparenti, cerchi, triangoli, figure bianche e nere, vuote e piene. Il futuro lunare dall’idea concettuale dell’arte si concretizza nel futuribile presente della moda neoplastica, come una lama di luce nel buio. L’Italia ne fu il capostipite, basti pensare al film per eccellenza di Elio Petri, La decima vittima Era il 1965, capofila della fantascienza, fu girato tra Manhattan e Piazza Navona. Una macchina instancabile di espressionismo iperrealista nei costumi, luci e scenografie in grado di fondere in maniera originale la presenza di oggetti di design, arte contemporanea, alta moda e monumenti urbani. Un futuro prossimo, un’agile e crudele storia di una caccia all’uomo, in cui i governi di tutto il mondo inventano la Grande Caccia, una sorta di “gioco” alla Hunger Games. Un’elegantissima Bond-girl Ursula Andress e un autoironico Marcello Mastroianni, vengono affiancati dall’attraente bellezza androgena di Elsa Martinelli. I tre protagonisti incarnano gli eroi di un fumetto in un quadro di Lichtenstein. La scenografia, affidata a Piero Poletto, è oltremodo ricca e sorprendente, colorata e disarmante, tra la quasi totalità di bianco e nero e contrappunti rosa/violetto: eleganti ville sull’Appia, attici con vista su Roma e terrazze dell’EUR in cui fanno da sfondo suonatori di sax sul piedistallo e pouf gonfiabili azzurri. Il fascino sgargiante di quest’opera in technicolor ne ha determinato una lettura in termini di moda, come se si trattasse di un inno al glamour. La Andress si muove con eleganza e sensualità. In un completo fuxia, pantaloni a sigaretta con piccole aperture triangolari sul di dietro, bolerino a mezza manica completamente aperto sulla schiena e capelli cotonati lasciati sciolti. L’amante, la giovanissima e nel suo massimo splendore Elsa Martinelli in un caschetto nero con addosso un abito corto bianco latte, con cappellino con visiera, guanti e pistola. La decima vittima rappresenta una donna dinamica ma sempre sofisticata seppure nella sua apparente naturalezza: sexy, autonoma e in tutti i sensi moderna. Un effetto unico come in un “respiro” regalato agli occhi, gli attori indossano abiti futuribili disegnati dal costumista Giulio Coltellacci e realizzati dalle Sorelle Fontana. Una sintesi tra design, architettura e moda. Sull’onda della Optical Art, gli abiti enfatizzano tagli sintetici, funzionali e squadrati, a favore di una geometria essenziale. Colpi di pistola, effetti elettronici e scat jazz fanno da apri pista ad una catchy e divertente colonna sonora del Maestro Piero Piccioni con l’incantevole voce di Mina. Un film ironico, imprevedibile, leggero e pieno di invenzioni. Un’eresia ultrapop e futurista, che anticipa il design degli anni 70 e abbaglia di geometrie e cromie, sottolineando un progressivo ma inesorabile avvio verso il vuoto morale.