Interviste Home » Curiosità » Interviste » Eleonora Riccio, l’ecostilista che porta l’emozionalità della natura in passerella Eleonora Riccio, l’ecostilista che porta l’emozionalità della natura in passerella Da MARTA MAGGIONI Pubblicato 2 Dicembre 2020 11 min lettura Commenti disabilitati su Eleonora Riccio, l’ecostilista che porta l’emozionalità della natura in passerella 3 207 Condividi su Facebook Condividi su Twitter Condividi su Reddit Condividi su Pinterest Condividi su Linkedin Condividi su Tumblr Appassionata di cultura, della spiritualità nelle cose ed alla continua ricerca delle preziose ”primizie” che cela Madre Natura. Eleonora Riccio ecostilista, è tutto questo ed anche di più Come una direttrice d’orchestra guida, con tocco gentile e sapiente, i suoi amati ”strumenti” per creare quella che può essere definita una sinfonia di moda. Il fil rouge che attraversa e abbraccia il suo brand è l’ ecosostenibilità e la ricerca etica di idee, progetti, materiali e lavorazioni. Eleonora, come si è evoluta la tua persona per arrivare dove sei ora? Sono sempre stata una persona che ha amato studiare, documentarsi, addentrarsi in profondità nei significati delle cose, interiorizzare tutte le esperienze che mi sono capitate. Ho studiato presso l’Accademia di Costume e Moda di Roma e ho seguito un corso sull’imprenditoria femminile. Poi sono arrivati gli stage formativi e le collaborazioni lavorative con marchi importanti come Ferrè Accessori (occupandomi dei settori uomo e donna), Salvatore Ferragamo (sezione borse e scarpe) de altre aziende romane. Dopo un’esperienza di due anni a Londra, la nostalgia per l’Italia si è amplificata sempre di più e allora sono tornata nella mia amata terra d’origine per costruire quello che era il mio sogno più forte: un brand di moda che parlasse di etica, di emozione, di ricercatezza e di qualità. Sappiamo che fin da piccolissima hai respirato Arte. Questo ha, secondo te, influenzato la tua sensibilità? Si, certo. La mia è stata una famiglia dedita all’arte nel senso più variegato del termine. Mia madre negli anni ’60 è stata sarta per Emilio Schubert e Capucci, mio padre un amante del design e del ben vestire. Per me, è stata una conseguenza totalmente naturale ed istintiva quella di abbracciare questo campo. Quali sono stati i motivi salienti per cui hai sentito la necessità di metterti in proprio e di fare dell’eco consciousness il tuo baluardo? Uno fra tutti lo sviluppo non sano di tutta la filiera della moda che, come sappiamo, è tra le più inquinanti. Dietro tutto quell’allure e il bling bling c’è un mondo oscuro, terribile. L’ultima esperienza lavorativa quì a Roma poi mi ha profondamente segnato: sia dal punto di vista umano che produttivo l’ambiente non era sano, l’unico obiettivo era quello di ingrossare il bilancio e trarre il maggior profitto possibile. Ho capito che era una cosa da cui non potevo più distogliere lo sguardo. Una modalità che rinnegavo con tutta me stessa. Parlaci del tuo marchio, qual è la sua particolarità? La colorazione naturale di tessuti certificati, senza ombra di dubbio. E’ entusiasmante vedere come, verdura, frutta, fiori, radici e foglie siano un elemento poliedrico, un veicolo sempre attivo di trasformazione e mutazione. La mia è una sinergia con aziende agricole locali da cui ottengo i materiali di scarto per realizzare i miei personalissimi pigmenti. Una collaborazione che mi ha portato ad essere, nel 2019, la testimonial del progetto ”AGRITESSUTI” della Confederazione Italiana Agricoltori. Perché hai scelto proprio la sostenibilità? Scommettere sulla green-life vuol dire sperare in un futuro più pulito, più armonioso. Sfruttare con aggressiva caparbietà la nostra terra sta logorando il mondo e questo periodo pandemico ce lo sta ricordando ad alta voce. Essere sostenibili vuol dire abbracciare tutti gli aspetti della vita, ci tocca nel profondo, vuol dire avere cura del benessere dell’uomo e di ciò che ci circonda. Vuol dire spostare il nostro punto di vista, spogliarci dell’egocentrismo sociale e produttivo insito in noi. La vita dell’uomo è così passeggera… ma proprio per questo dobbiamo avere a cuore il territorio: lui ci sfama, ci disseta, ci veste, ci protegge. La tintura naturale. Come è avvenuto questo magico incontro? Durante i miei studi accademici, l’argomento dei pigmenti e delle colorazioni mi ha rapito immediatamente. Il colore è sostanzialmente l’arma con cui tutti gli artisti comunicano dai primordi ad oggi. Non a caso la mia tesi di laurea si è focalizzata sull’analisi dei colori nell’arte e nella moda, sulla loro vibrazione emotiva, sul valore simbolico e psicologico di ogni sfumatura. Se nell’antichità venivano usati piante, insetti e radici, perché non potevo riscoprire anch’io questa tradizione così pura? Spesso si pensa che la tintura naturale sia caduca ma non è corretto. In tantissimi musei si possono ammirare costumi popolari dai toni ancora vividi e densi. E’ dal 1860, con Perkin, che si sono sviluppati i coloranti artificiali per aiutare le nascenti industrie a velocizzare e tingere in modo massivo i capi d’abbigliamento a discapito, nel lungo termine, della salute. I colori naturali sono poetici, sani, vicini all’uomo: è la rivelazione a cui mi hanno condotto i testi di Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale, botanico e saggista italiano. Perchè crei? Creo per me stessa, perché è una passione, un bisogno costante dell’anima. E’ un lavoro che richiede tantissima dedizione e quasi ”assolutezza”. Ogni volta che disegno una collezione esprimo quello che ho dentro, quello che vedo, racconto il mio modo di osservare Madre Natura. Ultimamente sto cimentandomi nella creazione di gioielli botanici ispirati alla natura, agli alberi e alle cortecce. Oltre a questo, cosa aiuta la tua ispirazione? Per esempio emozionarmi con artisti come Rothko, Gauguin, lasciarmi influenzare dagli impressionisti e dalla Bauhaus, dall’arte surrealista, simbolista, moderna. Sicuramente giocano un ruolo ponderante anche alcuni stilisti. Amo in modo viscerale Alexander Mcqueen, ciò che ha creato attraverso il suo intricato percorso esistenziale ed ispiratorio. Un tuo capo o collezione a cui ti senti più legata? Un abito realizzato in Accademia che doveva coniugare due mondi all’antitesi: la lingerie e il punk. Ho utilizzato le bretelle in silicone dei reggiseni per creare un lungo strascico che quasi s’illuminava con il riflesso della luce nelle sue parti metalliche. Lo custodisco gelosamente a casa mia, sia per il valore sartoriale che affettivo: la mia maestra di vita, mia madre, mi ha accompagnato durante tutto il processo di creazione. Dove possiamo acquistare i tuoi capi? Quali obiettivi futuri ti sei posta? Per adesso il mio showroom è a Roma, nel quartiere Monteverde ma sto creando il mio personale sito vetrina ed e-commerce dove sarà possibile acquistare le collezioni abbigliamento e accessori. Voglio continuare a tessere le mie collaborazioni con le aziende vicine al green (come quella proficua con Aboca e le mie sciarpe botaniche) e di creare cose sempre interessanti sia per quanto riguarda il ready to wear che l’haute couture.