Lotta contro la violenza sulle donneHome » Lotta contro la violenza sulle donne » Femminicidio Sara, quando un ‘No’ diventa una condanna a morte Femminicidio Sara, quando un ‘No’ diventa una condanna a morte Da Maria Carola Leone Pubblicato 53 minuti fa6 min lettura 0 30 In una società in cui il “no” viene spesso ignorato, frainteso o addirittura punito, la tragica vicenda di Sara Campanella si erge come un doloroso monito. La sua storia, segnata da un rifiuto che ha innescato una spirale di violenza, squarcia il velo su una cultura ancora incapace di riconoscere il valore sacro del consenso libero e revocabile. “No” non è una provocazione, ma un diritto Sara era una giovane donna determinata, convinta del proprio diritto all’autodeterminazione. Quando pronunciò quel “no”, lo fece con la certezza di essere ascoltata. Eppure, la sua parola fu interpretata come una sfida, un ostacolo da superare con la forza. Quella negazione, invece di essere rispettata, divenne l’inizio di un incubo. Perché il rifiuto di una donna viene ancora percepito come un invito ad insistere? Perché, in molti casi, viene letto come un atto di ostinazione anziché come l’espressione di una volontà chiara e inviolabile? La cultura del “no che significa forse sì” Quello di Sara non è un caso isolato. È il sintomo di una malattia sociale radicata in secoli di patriarcato, dove il desiderio femminile è stato sistematicamente negato, manipolato o ridotto a mera concessione. Il mito della persistenza romantica: Quante volte ci viene insegnato che “insistere” è segno di vero interesse? La colpevolizzazione di chi rifiuta: “Se l’è cercata”, “Avrebbe potuto essere più gentile”, “Ma perché non ha ceduto?”. La violenza normalizzata: Dalle molestie per strada alle pressioni psicologiche nelle relazioni, il confine tra corteggiamento e coercizione è spesso sfumato. La storia di Sara ci ricorda che il “no” non è negoziabile e che ogni tentativo di aggirarlo è una violenza. Oltre il femminicidio: la violenza del silenzio La morte di Sara non è stata solo l’esito di un atto brutale, ma il prodotto di una catena di indifferenza: La minimizzazione dei primi segnali (“È solo geloso, è normale”) La solitudine delle vittime (“Nessuno mi crede”) L’impunità degli aggressori (“Tanto non succede nulla”) Eppure, la violenza più subdola è quella che nasce dall’assuefazione: l’idea che un rifiuto possa essere ignorato, che una donna debba “sopportare”, che il suo “no” valga meno di un “sì” estorto. Come cambiamo questa cultura? La memoria di Sara non può essere solo un hashtag. Deve trasformarsi in azione concreta: Educazione al consenso fin dall’infanzia Insegnare che “no” è una frase completa, non un invito a contrattare. Normalizzare il rispetto del rifiuto, anche nei contesti quotidiani. Riformare la giustizia Pene più severe per gli aggressori e maggiore protezione per le vittime. Formazione specifica per le forze dell’ordine e i giudici sulle dinamiche della violenza di genere. Rompere il silenzio collettivo Smettiamo di chiederci “perché lei non è scappata?” e iniziamo a domandarci “perché lui non ha smesso?” Creare reti di sostegno realmente accessibili per chi subisce violenza. Sara non doveva morire. Nessuna dovrebbe. La storia di Sara non è un destino inevitabile, ma una ferita aperta nella coscienza di tutti. Se vogliamo onorare la sua memoria, dobbiamo fare in modo che nessun altro “no” venga pagato con la vita. Il cambiamento inizia da noi. Se vedi una donna in difficoltà, non voltarti. Se un amico fa “battute” sul rifiuto, correggilo. Se ti senti in pericolo, chiedi aiuto. Perché il rispetto del “no” non è un’opzione, ma l’unica strada possibile verso una società più giusta.
La tragica vicenda di Sara Campanella, uccisa per un rifiuto, ci obbliga a riflettere sulla cultura del consenso. Perché il “no” deve essere rispettato? Scopri come cambiare la società.