La scrittura secondo una scrittrice affermata, Marta Borroni

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Marta Borroni si racconta a ModApp

La scrittura è essenzialmente la morale della forma, è la scelta dell’area sociale nel cui ambito lo scrittore decide di situare la Natura del proprio linguaggio. Così come ha fatto la scrittrice Marta Borroni. Ho avuto l’onore di intervistarla focalizzandomi su alcuni aspetti fondamentali. Vediamoli insieme.

La scrittrice Marta Borroni si racconta a ModApp

  • Marta, in che modo ti sei avvinata al mondo della scrittura?

Questa per chi scrive è una delle domande più difficili o almeno lo è per me.
Rimane sempre confuso capire il punto esatto in cui la scrittura è diventata il mio mondo.
Da quando ho imparato a scrivere, ricordo di averlo sempre fatto tantissimo.
In casa mia madre è una grande lettrice, sono nata tra i libri. Anche mio nonno aveva questa passione e voleva diventare giornalista. Mio padre non è mai stato un grande scrittore, però ha sempre scarabocchiato in giro e riempito a penna tanti fogli ed agende.
Come in ogni cosa, l’ambiente in cui nasci e vivi ti influenza, ma a volte nasci semplicemente in un modo e crescendo scegli così di essere te stesso.

  • Sei una donna in carriera. Come è stato il tuo percorso di crescita professionale?

Oscillante, sicuramente.
Un termine strano ma credo rappresenti l’arco dei miei trent’anni sia con le crisi personali che quelle della nostra società.
Non ho mai avuto una professione ben chiara, tipo il medico. La mia mente è sempre stata orientata nel campo letterario, di cui viverci, specie agli inizi, non è facile.
Quindi mi sono divisa fra il percorso lungo, in cui si fanno le ossa e quello del fare qualcosa subito di materiale, che mi facesse sentire appagata.
Ho avuto i miei successi e i momenti in cui ho dovuto mettere da parte i sogni e fare raffronti su ciò che avevo e ciò che volevo. Ma sicuramente non mi pento di aver scartato un successo immediato, una scelta mediatica più appariscente, sono sostanzialmente una persona molto privata seppur eccentrica ed è ciò che amo di più della mia vita.
Ognuno ha la sua idea di successo ed è fondamentale che si rimanga fedele alla stessa. 

  • Cosa pensi dell’attuale condizione delle donne contemporanee?

Un argomento che mi tocca da vicino, in quanto donna, che mi impaurisce e mi disorienta insieme.
Non credo si siano fatti dei reali passi avanti per la nostra condizione o quantomeno che si siano fatti quelli giusti.
Stereotipi e cliché, esattamente come battaglie di genere e pregiudizi o condizioni economiche rimangono precarie e radicate nel marcio della nostra società. Siamo comunque rappresentate come sesso debole, quindi violabile e screditato, oppure maligno e provocatorio e quindi punibile di dubbia moralità.
Non abbiamo altro metro di giudizio e questo sconvolge.
Mi verrebbe da dire che quel poco che abbiamo guadagnato ci toglie addirittura più libertà del passato, in cui a nostro modo avevamo una rispettabilità maggiore. Ma io nel passato più lontano non ci ho vissuto e non vorrei invece insultare quelle donne che effettivamente non potevano nemmeno permettersi un’intervista come questa.
Non sono una femminista estrema, credo che come donne non ci siamo emancipate abbastanza, abbiamo chiesto una libertà maggiore usandola in modo errato. Non possiamo incolpare gli uomini per eleggerci migliori di loro, la parità starebbe nel poter avere una equa divisione di diritti e doveri, che spesso entrambi le parti sbilanciano.
L’indipendenza economica, ad esempio, è un diritto troppo spesso sottovalutato, anche le violenze fisiche sono una conseguenza sottile di non potersi permettere altro.
Quante donne vorrebbero evadere e non possono proprio per non essere così economicamente indipendenti, anche quando i soldi sono i loro?
Siamo noi costrette a rinunciare, a nasconderci, a perdere il lavoro o la nostra casa, a dimostrare che non è colpa nostra.
La battaglia che una donna quotidianamente fa non si ferma mai, mentre un uomo non è sempre messo in dubbio come noi. Questa è una differenza enorme nella vita di tutti i giorni.

  • Che consiglio daresti alle giovani donne che si affacciano oggi al mondo del lavoro?

Il lavoro è per le donne la più grande libertà in assoluto. Non sottovalutate mai l’importanza che ha per definirci e che di contro le scelte che faremo nel lavoro potrebbe però definirci agli occhi esterni.
Un’arma a doppio taglio che dobbiamo sapere come gestire con noi stesse, ci verranno chiesti sacrifici e compromessi e non sempre si viene pagate come meritiamo, capire cosa accettare e quanto resistere non è facile, per questo è fondamentale conoscere se stesse, il proprio valore e cosa siamo in grado di fare.
L’umiltà non può essere un baratto con l’ambizione, anche se sarà sicuramente uno degli equilibri più faticosi da mantenere all’interno della propria professione.
E per ultimo consigli di cercare sempre di non permettere ad un uomo di definire o minare la vostra professione, sia in ambito lavorativo che privato.
Sarà la sfida più difficile, io purtroppo l’ho capito tardi, ma è essenziale proteggere il nostro operato, perché di fatto stiamo proteggendo la nostra dignità ed individualità.

  • Se avessi la possibilità di viaggiare nel tempo e dovessi scegliere di essere una donna, chi vorresti essere e perché?

Su questo non ho dubbi, Natalia Ginzburg, sia perchè è la mia scrittrice preferita sia perché lungo il percorso di lettura l’ho sentita come ‘amica’ di contenuti e valori che anche io, nonostante quasi un secolo di distanza fra noi, ho provato nella mia vita.
È morta due mesi prima che nascessi io, un fatto che mi è rimasto impresso.
Non posso ispirarmi ad una donna del futuro, perché quella donna a cui ispirarmi spero di essere io.
Natalia fa parte del passato e quindi, pur non avendola conosciuta, ne posso comunque ammirare il suo percorso.
Ha scritto contenuti di grande umanità e li ha scritti in un modo così semplice e diretto, da poter essere comprensibili per tutti, in modo universale.
È stata anche, insieme al marito Leone, la creatrice umana di Einaudi e parte battagliera del fascismo. Sono stati una coppia importante, oltre che artistica, anche storica per l’Italia.
Natalia nasce borghese, senza sentirsi appartenere, come scrive lei stessa, né ai ricchi né ai poveri, un po’ come mi sono sentita io. Conosce gli agi di alcune parti della vita ma sa anche cosa vuol dire la fame, le scarpe rotte, come un suo bellissimo racconto, l’esilio e la privazione.
Perde due mariti in poco tempo, ha dei figli che nascono con problematiche down, frequenta letterati. Ma nel mondo élite ne fa parte senza interesse, stringe con Pavese e Calvino un’amicizia sincera ma cruda, nettamente onesta. E con altrettanta onestà mette in luce in ogni istante i suoi tormenti, dubbi e limiti e nonostante questo va avanti, sempre, creando nella solitudine che spesso la vita le impone una forza sorprendente e tipicamente femminile.
Avrei davvero voluto conoscerla. Oltre a mia madre, è per figure come questa che riesco ancora a sentirmi fiera di appartenere al mondo della donne.

 

*Ringrazio Marta per averci rilasciato questa preziosa testimonianza.

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