Calcio femminile Home » Donne » Calcio femminile » Calcio femminile: azzurre vincenti ma perchè sempre dilettanti? Calcio femminile: azzurre vincenti ma perchè sempre dilettanti? Da Rossana Nardacci Pubblicato 19 Giugno 2019 7 min lettura Commenti disabilitati su Calcio femminile: azzurre vincenti ma perchè sempre dilettanti? 0 161 Condividi su Facebook Condividi su Twitter Condividi su Reddit Condividi su Pinterest Condividi su Linkedin Condividi su Tumblr In Italia le donne non possono essere professioniste, nello sport. Ma perchè? Le donne vincono tanto quanto gli uomini, arrivando alle stesse altezze del podio. Anzi qualche volta superano di gran lunga le controparti maschili: l’abbiamo visto sui campi del volley mondiale, nel settembre 2018, sta succedendo proprio in queste settimane, con le azzurre in campo ai Mondiali di calcio di Francia 2019, un anno dopo la mancata partecipazione degli uomini. Eppure tutto questo le nostre ragazze lo fanno per puro diletto. Dilettanti infatti è la categoria nella quale si misurano e competono, visto che in Italia sono solo quattro gli sport contemplati nel professionismo (calcio, ciclismo, golf e pallacanestro) e sono tutti praticati da uomini. E’ giusto secondo voi? La legge 91 del 1981: una legge sul professionismo sportivo Le donne restano sempre un passo indietro, anche se per cambiare le cose basterebbe partire da una legge. La 91 del 1981, che disciplina le “norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”. Nel 1981, in virtù del grande movimento economico che iniziava a ruotare attorno al mondo del calcio, lo Stato italiano fece una legge sul professionismo sportivo, la 91/1981. Si tratta di una legge fatta in fretta, la quale stabiliva delle tutele doverose ed elementari, che dovevano essere assicurate ad un lavoratore dello sport, se faceva dello sport il suo lavoro e la sua professione. Ad oggi ad usufruire della legge sono quattro discipline, calcio, ciclismo, golf e pallacanestro solo maschili. Quindi si è creata una situazione per la quale nessuna donna sportiva ha lo status di professionista, né può accedere ad una legge dello Stato. Il fatto che uno strumento possa essere adottato solo per gli uomini e non per le donne, lo trovo altamente anticostituzionale. La legge spiega che a decidere quali siano le discipline sportive in questione, lo deciderà il Coni, che è l’organo che governa lo sport, con le federazioni sportive nazionali. Ma il Coni non l’ha mai fatto e l’unico modo è che le federazioni facciano richiesta al Coni. La responsabilità è sicuramente anche delle federazioni, ma a monte dovrebbe esserci una legge, anche se, a ben guardare, basterebbe ricordare l’esistenza dell’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Per le donne la discriminazione è totale. Nessuna donna sportiva può accedere al professionismo e questo lo trovo ingiusto. Per una donna, come un uomo, non essere riconosciuti come professionisti significa non avere un lavoro per il quale siano riconosciuti dei diritti elementari. Parliamo di mancanza di un contratto tipo, di contributi previdenziali, di tutele della maternità, della malattia, dell’infortunio, del Tfr. Un’atleta quando è incinta, generalmente deve interrompere il suo contratto. Per legge sei un lavoratore invisibile, mentre se lavori in maniera continuativo e dallo sport deriva il tuo reddito prevalente, sarebbe doveroso il riconoscimento. Calciatrici che oggi ci portano ai Mondiali, vivono in uno stato di dilettantismo forzato, tra rimborsi spese e bonus, nell’impossibilità di accedere al professionismo. Ci troviamo di fronte a veri e propri paradossi, peraltro ridicoli, come un tetto massimo allo stipendio fissato a 27 mila euro , cosa che, come ben sappiamo, non esiste assolutamente per i calciatori. Calcio femminile: in fase di sprint? Il movimento calcio femminile ha subito un’accelerazione. La Uefa ha chiesto a tute le federazioni nazionali di investire sul movimento femminile due anni fa, finanziandone economicamente lo sviluppo, perché ha capito che potenzialità ci sono. Finanziamenti dati perché venissero fatte delle operazioni di promozione importanti. Per questo motivo, la Figc due anni fa ha promosso lo sviluppo del calcio femminile, chiedendo ai club di creare sia delle divisioni femminili in serie A sia nei vivai. Dopo anni trascorsi nella lega dilettanti e dopo diverse incognite, il collegio di garanzia del Coni lo scorso autunno ha deciso che Serie A e Serie B (con Coppa Italia, Campionato Primavera e Supercoppa) fanno ora capo alla Figc mentre il campionato interregionale resta alla Lnd. Il calcio femminile dimostra che nel momento in cui alle donne vengono date le stesse possibilità degli uomini e si eliminano gli ostacoli vergognosi posti sulla loro strada, le stesse portano a casa risultati straordinari e lo stiamo vedendo in questi giorni.